Quest’anno il percorso, che vedrà impegnati i veicoli immatricolati entro il 1974, si svilupperà da Lozzo Atestino (PD) a Padova. Attraverseremo una parte dei Colli Euganei in particolare: Este, Baone, Arquà Petrarca, Galzignano Terme, Battaglia Terme e Due Carrare. La partenza delle vetture avverrà presso il Castello di Valbona, per poi arrivare in Prato della Valle a Padova, dove saremo ospiti per il pranzo e le premiazioni del Circolo Ufficiali a “Palazzo Zacco”. E’ doveroso evidenziare con alcuni cenni storici le principali ed importanti strutture medioevali che ammireremo attraversando il territorio euganeo.
Il Castello di Valbona si trova ai piedi della parte occidentale del monte di Lozzo. Questa terra è molto antica in quanto vi sono stati ritrovati resti di palafitte e poco sopra il castello , addirittura alcuni resti di una autentica fortificazione paleoveneta. si dice che il Castello di Valbona sia stato costruito dal comune di Padova in epoca pre-ezzeliniana, altri invece che possa risalire al periodo ezzeliniano (1237-1256). E’ invece certo che esso esisteva nel 1258. Dopo la distruzione del Castello di Lozzo, quello di Valbona assunse una vera e propria posizione strategica, perchè al centro delle strade che provenivano da Montagnana e da Este, al confine tra i territori di Padova Vicenza e Verona.
Seguirà lungo il percorso un breve rinfresco presso la bellissima Azienda Vinicola Borin , si proseguirà poi per il Castello di San Pelagio con annesso il Museo dell’aria dove è prevista una visita.
ARQUA’ PETRARCA Il borgo sorse probabilmente nel periodo in cui veniva a collocarsi su di una probabile linea difensiva che doveva esistere già in epoca barbarica e che congiungeva la Rocca di Monselice, centro della locale giurisdizione politico amministrativa longobarda, con Valle San Giorgio, Cinto Euganeo e la fascia pianeggiante verso Vicenza, a occidente dei colli.
In epoca medievale fu costruito un castello (castrum) abitato da Rodolfo Normanno, come si attesta in un documento del 985 d.C. Proprio sull’altura fortificata, per questo detta Monte Castello, si sviluppò l’originario villaggio, che si articolava in due nuclei distinti su vari livelli e raccolti attorno alle chiese di S. Maria e della Trinità, ancora ravvisabili nei due Borghi di Sopra e di Sotto. Nel borgo medievale si trovano gli edifici di culto, uno votato a S. Maria e ricordato con l’importante titolo di pieve nel 1026, l’altro della SS. Trinità e attestato nel 1181, entrambi dotati di fonte battesimale. Nel 1213 passò dagli estensi al Comune, in seguito Signoria, di Padova e fu vicaria. Un secolo dopo, nel 1322, nella guerra tra Carraresi e Scaligeri, il castello venne incendiato e distrutto.
In questo periodo, nel 1364, Francesco Petrarca conobbe Arquà, mentre soggiornava ad Abano, sottoponendosi alle cure termali prescrittegli per la scabbia. Pochi anni dopo, nel 1369 ottenne delle terre ad Arquà, dove decise di stabilirsi per trascorrere gli ultimi anni della sua vita, che si concluse nel 1374.
Nel 1405, la dominazione della Repubblica di Venezia subentrò al dominio carrarese e Arquà mantenne intatta la vasta giurisdizione vicariale che racchiudeva numerosi altri centri dell’area euganea come Baone, Galzignano, Montegrotto, Abano sino a giungere a Valbona. In questo periodo la notorietà e la moda petrarchesche spinsero alcune famiglie aristocratiche padovane e veneziane, come i Contarini, i Pisani, i Capodivacca e gli Zabarella a costruire delle sontuose residenze. Dopo il Cinquecento la crescita edilizia del paese rallentò parecchio, preservandone in tal modo il caratteristico aspetto: ancora oggi, infatti, si possono ammirare le nobili dimore gotiche che circondano la piazza di Arquà Bassa, in cui domina l’arcipretale di S. Maria Assunta.
Alla caduta della Repubblica Veneta, nel 1797, il paese perse gradualmente importanza, tuttavia nel 1866, dopo l’annessione del Veneto all’Italia, fu elevato al grado di Comune e nel 1868 poté aggiungere al nome di Arquà quello di Petrarca.
Il toponimo di Arquà deriva dal latino Arquatum o Arquata, che nei secoli, durante la Repubblica di Venezia è stato modificato in Arquada, poi tramutato in Arquà. Nel 1868, in seguito all’Annessione del Veneto al Regno d’Italia si decise di cambiare il nome in Arquà Petrarca, in onore del poeta che vi trascorse gli ultimi anni della sua esistenza.
Castello di S. Pelagio viene chiamato anche Villa Zaborra , dal nome dei Conti Zaborra , che sono i proprietari dal 1700. Dal 1980 è adibito oltre che a ristorante , anche a Museo dell’aria e dello spazio, in omaggio a Gabriele D’Annunzio , che da qui partì con la sua squadriglia aerea veneta per lanciare su Vienna i volantini che invitavano gli austriaci alla resa. All’interno sono esposti oltre 300 modellli di aerei , dirigibili , mongolfiere ed altro. Ampio risalto è dedicato anche alla conquista dello spazio, dove si può ammirare “ la vela solare” , un’astronave sperimentale costruita dall’Università di Padova ed anche le immagini della sonda spaziale “Giotto”. Il Castello di S. Pelagio è unico in Europa per la sua collezione aeronautica. Raggiungeremo poi Prato della Valle (Padova) , dove saremo ospiti a Palazzo Zacco , sede del Circolo Ufficiali, per il pranzo e le premiazioni.
Palazzo Zacco o degli Armeni Fu costruito il 19 dicembre del 1555, per volontà del Magnifico Signore Marco Zacco , che commissionò l’acquisto di pietre per la realizzazione del palazzo. I lavori terminarono nel 1557, permettendo la dimora della nobiltà Zacco per quasi 300 anni. Dopo la caduta della Repubblica Veneta (1797) Padova fu alternativamente occupata dai francesi e dagli austriaci sino al 1819 anno in cui Francesco Imperatore d’Austria soggiornò nel Palazzo Zacco con la sua 4^ moglie Arciduchessa Carolina Augusta di Baviera. Iil 27 giugno 1839 gli Zacco vendettero il palazzo alla congregazione mechitarista armena, che vi stabilì, nel 1842 il proprio collegio “Morat”. A metà 1800 , gli austriaci allontanarono il collegio a Parigi, che poi tornò a Venezia per unirsi all’ altro collegio mechitarista “Raphael”. Il palazzo rimase in mano austriaca fino alla terza guerra d’indipendenza (1866). Successivamente il comune di Padova destinò l’uso del palazzo a vari servizi, fino a devolverlo allo stato il 2 aprile 1904. Palazzo Zacco è stato dichiarato “edificio d’interesse artistico” il 24 aprile 1925. Vari comandi militari hanno avuto la loro residenza presso questa struttura, fino a giungere il 1° gennaio 1954, ad essere residenza del Circolo Ufficiali Militare di Padova.
PRATO DELLA VALLE Il Prato senza erba Uno dei simboli di Padova, è una grande piazza ellittica che, oltre ad essere la maggiore piazza padovana, è una delle più grandi d’Europa, seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. La piazza è in realtà un grande spazio monumentale caratterizzato da un’isola verde centrale, chiamata Isola Memmia in onore del podestà che commissionò i lavori, circondata da un canale ornato da un doppio basamento di statue numerate di celebri personaggi del passato che secondo il progetto originario dovevano essere 88. Oggi possiamo osservare, invece, solo 78 statue con 8 piedistalli sormontati da obelischi e 2 vuoti. Quattro viali attraversano il Prato su piccoli ponti, per poi incontrarsi al centro dell’isolotto.
La sistemazione trae ispirazione dalla grande tradizione veneta del giardino patrizio; qui per la prima volta questo venne distolto dall’uso privato e proposto, secondo i concetti neoclassici, come soluzione urbanistica e qualificazione ambientale. Fin dall’antichità questo spazio aperto ebbe funzioni economiche e ricreative. In epoca romana fu sede di un vasto teatro, lo Zairo, delle cui fondamenta sono state rinvenute le tracce nel canale che circonda l’Isola Memmia, e di un circo per le corse dei cavalli. Nell’epoca delle persecuzioni contro i primi cristiani, il circo fu utilizzato per i combattimenti. Nel Medioevo fu invece sede di fiere, giostre, feste pubbliche e gare, come le corse dei “sedioli”, una specie di biga tipicamente padovana o il “castello d’amore”, che si concludeva con la conquista delle belle ragazze da marito da parte di giovanotti venuti da tutto il Veneto. La domenica delle Palme era anche il luogo tradizionale delle grandi assemblee “di tutti gli uomini liberi del Padovano” e già nel 1077 era luogo da “mercato” e due volte al mese aveva luogo il mercato degli animali. Ad ottobre e a novembre si tenevano invece le due grandi fiere in onore dei Santi Patroni Giustina e Prosdocimo.
Persino le più frequentate prediche di Sant’Antonio venivano tenute in Prato della Valle.
Sebbene si trovasse a ridosso delle mura della città, continuò a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, dovuto alla conformazione a catino del terreno, dove l’ acqua ristagnava, tanto da assumere quell’aspetto di valle che giustifica il nome. Inoltre esso non era proprietà demaniale, ma dell’Abbazia di S. Giustina che durante la dominazione veneziana non aveva i mezzi di curarne la bonifica. Tutti questi fattori, come pure la destinazione cimiteriale di una sua parte, contribuirono così a preservare la zona da radicali cambiamenti e a lasciarla a lungo inedificata.
Il 14 febbraio del 1767 il Senato Veneto dichiarò l’area di proprietà comunale contro le pretese dei monaci di Santa Giustina e qualche anno dopo, nel 1775, Andrea Memmo, patrizio veneziano illuminista, nominato Provveditore della Serenissima a Padova, con l’aiuto dell’abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza e Padova e progettista di diverse opere pubbliche a Padova e dintorni, valorizzò questo spazio attuando una radicale bonifica e creando una canalizzazione sotterranea destinata a far defluire le acque dell’anello centrale, che tuttora vediamo, valicato da 4 ponti, recingere una specie di grande aiuola circolare. Secondo le cronache, per la realizzazione dell’isola Memmia, dei ponti e della canaletta bastarono 44 giorni e senza aggravio per l’erario in quanto Andrea Memmo usò anche il suo denaro.
Il suo progetto, rimasto in parte incompiuto, è visibile in un’incisione su rame di Francesco Piranesi del 1785.
L’idea del Memmo era quella di creare un nuovo centro commerciale cittadino, uno spazio adatto per fiere e manifestazioni. Riuscì così a trasformare in pochissimo tempo il centro di Prato della Valle da palude malsana in luogo di mercati, spettacoli, incontri e di passeggio. Nell’isola Memmia furono così inizialmente allestiti padiglioni per dar vita ad un mercato, ma in seguito, al posto delle botteghe, furono piantati degli alberi che tanto hanno contribuito a dare un gusto tipicamente inglese alla piazza ma che al tempo stesso, per l’eterogeneità degli edifici che la circondano, così lontana dalla regolarità dell’edilizia inglese, l’hanno resa unica, originale e indimenticabile.
Basilica di S.Antonio Secondo una tradizione molto diffusa nel tardo medioevo e fino al XVIII secolo, ma che non ha fondamenti storici né archeologici, in questo luogo sorgeva un tempio dedicato alla dea Giunone, in cui, secondo Tito Livio, i padovani donavano ed appendevano i trofei vinti nelle loro battaglie.
Nel Medioevo questa era una zona periferica della città di Padova, ove sorgeva la piccola chiesa di Santa Maria Mater Domini, che era stata affidata ai frati minoriti. Qui aveva soggiornato sant’Antonio per poco più di un anno tra il 1229 ed il maggio 1231; accanto era stato fondato il convento dei francescani, forse proprio da sant’Antonio nel 1229. Quando Antonio morì il 13 giugno 1231 presso Arcella, nella parte nord di Padova, la sua salma venne composta in questa piccola chiesa e vi fu sepolto, seguendo il suo desiderio.Ben presto furono registrati molti fenomeni miracolosi sulla sua tomba ed iniziarono ad arrivare pellegrini prima dalle contrade vicine e poi anche da oltralpe. Le varie componenti della cittadinanza di Padova (comune, vescovo, professori dell’Università, ordini religiosi e popolo) chiesero congiuntamente di innalzare Antonio all’onore degli altari. Il processo canonico si svolse in tempi molto breve: nella cattedrale di Spoleto il 30 maggio 1232 il papa Gregorio IX lo nominò santo. Quindi, ad un anno dalla morte del santo, si decise di porre mano alla chiesetta di santa Maria e di erigerne una nuova, proporzionata all’esigenza di ricevere ed ospitare i gruppi di pellegrini; l’antica chiesetta formò il nucleo da cui partì la costruzione della Basilica e tuttora è inglobata come Cappella della Madonna Mora. La costruzione della basilica si protrasse fino al 1310. Modifiche all’assetto della Basilica si prolungano fino al XV secolo, con un forte impulso dopo l’incendio e conseguente crollo di un campanile nel 1394. I lavori del XV secolo includono il rialzamento del deambulatorio e il riassetto del coro, con la costruzione di una nuova cortina. Fra il 1464 e il 1467 nella basilica lavorò Pietro Lombardo, che vi scolpì il Monumento di Antonio Roselli (1464) e la lapide sepolcrale di Jacopo Pavini (1467), entrambe rinascimentali. Durante la guerra della Lega di Cambrai (1509), Padova fu al centro dei combattimenti e la basilica si trovava a breve distanza dalle fortificazioni e pertanto, trovandosi tra due fuochi, subì da una parte i furori delle truppe venete assediate e dall’altra le rappresaglie dell’esercito imperiale assediante, che a fasi alterne la occupavano.Nel corso del XX secolo vengono affrescate nuovamente le cappelle laterali, molto deteriorate dall’incuria e dal trascorrere dei secoli. Il 29 maggio 2012 la basilica è stata danneggiata da una delle scosse di terremoto che hanno colpito il territorio dell’Emilia-Romagna; ci sono stati distacchi su oltre 3 m² di intonaco decorati dal Casanova. I frammenti sono stati raccolti e messi al sicuro, sotto controllo della Soprintendenza. Tutto il deambulatorio che corre attorno al presbiterio è stato protetto, così che eventuali altri distacchi non possano colpire i pellegrini.
Abbazia di Santa Giustina Nel VI secolo, il prefetto del pretorio d’Italia ostrogoto Venanzio Opilione costruì sul luogo della tomba di santa Giustina di Padova, martirizzata nel 304, una basilica di raffinate proporzioni affiancata da un oratorio dedicato a san Prosdocimo e da altri ambienti destinati al culto. Nel VI secolo, il prefetto del pretorio d’Italia ostrogoto Venanzio Opilione costruì sul luogo della tomba di santa Giustina di Padova, martirizzata nel 304, una basilica di raffinate proporzioni affiancata da un oratorio dedicato a san Prosdocimo e da altri ambienti destinati al culto. La basilica Opilionea, che intanto fu affiancata da un importante monastero benedettino, crollò in gran parte con il terremoto del 1117. Ricostruita frettolosamente negli anni successivi, incorporando e riutilizzando ciò che restava della precedente costruzione, fu nei secoli seguenti un continuo cantiere, che tra il XIV e il XV secolo si concentrarono sul coro, la sacrestia, la cappella di San Luca. In questo periodo si ricostruì pure in grandiosa maniera il vicino cenobio, con ben 4 chiostri. Fondamentale fu la carismatica presenza dell’abate Ludovico Barbo, che a Santa Giustina fondò la Congregazione cassinese. A partire dal 1501 si principiò una nuova costruzione sul progetto che dom. Girolamo da Brescia presentò al Capitolo generale nel 1489. Lo scavo e l’erezione delle fondamenta fu un’impresa grandiosa, perché il terreno era “paludoso pieno di fortumi e d’interne voragini”. Abbandonato poi il progetto del da Brescia, su invito di Bartolomeo d’Alviano i monaci affidarono i lavori a Sebastiano da Lugano e poi ad Andrea Briosco. Dalla morte di quest’ultimo la fabbrica passò alla responsabilità prima di Andrea Moroni e poi di Andrea da Valle.[1] L’enorme cantiere, tra angherie e vicissitudini, si protrasse per più di un secolo – a Padova ancora si dice te si longo fa a fabbrica de Santa Giustina ovvero “sei molto lento”. La basilica fu solennemente consacrata il 14 marzo 1606. In seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche l’abbazia fu sequestrata ed i monaci allontanati. Più di tre quarti dei beni artistici dei benedettini furono spediti in Francia, altri venduti ed alienati. La pala di San Luca partì per Brera. La basilica cadde inofficiata per due anni, dal 1810 al 1812 sino a quando il vescovo Francesco Scipione Dondi dall’Orologio, per scongiurarne la demolizione, la eresse parrocchia gestita da sacerdoti secolari. Il vicino monastero divenne ospedale militare e poi caserma.
All’inizio del Novecento si accesero movimenti di valorizzazione del complesso, come importante centro spirituale: nel 1909 l’edificio fu elevato a basilica minore da papa Pio X e nello stesso anno fu incoronata solennemente l’icona della Madonna Costantinopolitana.
Nel 1919 alcuni monaci dell’Abbazia di Praglia si prestarono a ricostituire l’Abbazia su approvazione di papa Benedetto XV. I monaci ottennero il permesso dallo Stato Italiano di officiare la basilica, ma solo nel 1923 riuscirono a rioccupare parte del vecchio monastero. Nel 1943 la nuova comunità benedettina elesse, dopo più di un secolo, il suo abate. Nel 1948 il demanio concesse l’uso di altri spazi ai monaci, che avviarono una grossa campagna di ripristino e restauro.
Oggi l’intero enorme complesso è di proprietà statale e su buona parte del monastero insiste ancora l’Esercito Italiano.
A termine del pranzo si potrà passeggiare in Prato della Valle ed eventualmente visitare il Santuario di San Antonio e l’Abbazia di Santa Giustina.